Autoproduzione 2.0 e sostenibilità ambientale

Il fenomeno dei Fablab (autoproduzione) e la produzione diffusa a km zero legata al tessuto imprenditoriale del territorio.

I Fablab (fabrication laboratory) sono una rete di laboratori di fabbricazione digitale. Nati al MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston si stanno diffondendo in tutto il mondo con l’intento di rendere accessibili gli strumenti di fabbricazione digitale a privati, istituzioni e aziende. Le attrezzature presenti in questi luoghi consentono la realizzazione di svariati prodotti a seconda delle esigenze e dei singoli bisogni. Sono centri di produzione d’idee, aperti al pubblico e connessi in rete. Un Fablab è quindi un laboratorio che accanto agli utensili della tradizione (martello, cacciavite, sega circolare, pialla, smerigliatrice, macchine da cucire, etc…) affianca gli utensili del futuro (lasercutter, stampanti 3D, CNC, vinyl cutter, software e componenti basati su tecnologia Arduino); uno spazio del “fare tecnologico” e dell’artigianato digitale, di condivisione (sharing) di ambienti, know-how, relazioni, canali commerciali, competenze tecniche e attrezzature. Il target interessato può comprendere scuole, università, designer, imprese creative, makers, aziende, così come semplici cittadini che vogliono trasformare le loro idee, creative e innovative, in prodotti unici e irripetibili. I settori d’interesse sono: product, forniture, food, fashion design, integrazione elettronica, architettura, campo biomedicale.

Tutto ciò sviluppa e dà ispirazione a quella corrente definita “do it yourself”, legata al tema della personalizzazione, quindi alla cultura dell’autoproduzione e alle successive fasi di promozione e di autofinanziamento tramite siti di crowdfounding.

Il contesto in cui questi laboratori nascono e crescono è legato al passaggio dall’intelligenza collettiva, cioè analogica/ televisiva caratterizzata da un rapporto passivo con il pubblico, a quella connettiva/ attiva, fatta d’interazione favorita dal mondo digitale; una forma di produzione quindi “autocratica”, un processo di tipo circolare per cui chi produce, investe o consuma è intercambiabile, senza che nessuna autorità assenta come un oggetto debba essere o meno, chi usa può modificare, chi produce può usare, chi crea può produrre, etc…

Digital revolution, social network, smart cities, open data: tutto ciò può portare a un rischio, il cosidetto “too much virtual” che relega alla esclusione sociale chi non ha possibilità di accesso ai media e alla rete. Questa tendenza viene in parte contrastata tramite questi laboratori, gestiti da persone definite Makers, da “make” cioè “fare” e “sono”, come ribadisce Luca Castelli, «un fenomeno moderno che affonda però le radici in un sentimento antico che è quello del desiderio di produrre, creare, riparare e modificare gli oggetti».

Il settimanale “The Economist” parla di Terza Rivoluzione Industriale, in cui tutta la parte di branding e retail, dal notevole peso in fase di diffusione di un prodotto, può essere ridiscussa e addirittura esclusa dal classico processo di commercializzazione, per cui possiamo pensare, ad esempio, a un prodotto ideato in Italia ma stampato, in tempo reale, dall’altra parte del mondo eliminando, inoltre, le fasi di trasporto e di logistica.

Fablab Reggio Emilia è uno dei Fablab che riunisce in sé quanto appena esplicitato. Nasce come laboratorio di “Reggio Emilia Innovazione” all’interno di uno spazio di arte contemporanea. Questa è una caratteristica specifica di questo luogo che sfrutta la grande opportunità di avere un rapporto col pubblico diretto in cui le mostre presenti all’interno dello spazio vengono messe in stretta relazione con le attività del Fablab stesso: le performance artistiche sono in tal modo combinate alla progettazione di gadget, alla prototipazione e stampa 3D nonchè laboratorio introduttivo alla robotica. Più che attorno alle macchine il Fablab cresce intorno alle persone.

I Fablab diventano “nuove possibili formule” che consentono alle imprese d’investire poche risorse senza rinunciare alla ricerca e sviluppo; è proprio grazie alla prototipazione rapida a basso costo e alle particolari offerte formulate in questi spazi di costruzione che gruppi di lavoro interdisciplinare possono dare un concreto contributo all’esigenze delle aziende o dei singoli cittadini.

In particolare il Fablab Reggio Emilia organizza dei “Challenge”, una formula rivolta alle aziende, la cui sfida è quella di mettere alla prova talenti creativi su tematiche specifiche proposte dalle aziende presenti sul territorio al fine di lavorare congiuntamente allo sviluppo di nuove e concrete proposte indirizzate all’economia reale del territorio.

Nell’ambito della produzione territoriale c’è da segnalare Slowd, una piattaforma che applica il concetto di “chilometro zero” nel mondo del design, mettendo in relazione designer emergenti, artigiani e clienti finali. I progetti dei designer selezionati vengono
caricati sul sito di riferimento, il cliente acquista il prodotto e l’artigiano del network più vicino al cliente lo realizza. Il know-how profondo dell’artigianato di punta viene così messo in rete con i designer emergenti e talentuosi, come un sistema peer to peer, nel quale sono i progetti a viaggiare e non solo le idee. La missione è portare nelle case di tutti design di qualità a prezzi accessibili, dando risalto alle qualità dei nostri moderni artigiani attraverso le idee dei migliori designer emergenti dando origine, in tal modo, a una reale filiera sostenibile.

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