Design sistemico e concetto di relazione

Un sistema è per definizione un insieme di elementi connessi tra di loro (e con l’ambiente esterno) tramite relazioni che formano un tutt’uno in grado di agire come una macrounità singola, secondo delle regole proprie. Un buon esempio che vede coinvolta la specie umana come uno degli elementi interconnessi e facenti parte di un sistema è l’affascinante teoria di Gaia, formulata per la prima volta dallo scienziato inglese James Lovelock nel 1979 e basata sull’assunto che acqua, aria, terra e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta mantengano le condizioni idonee alla presenza della vita sul pianeta proprio grazie alle relazioni che intercorrono con gli organismi viventi, vegetali e animali. In breve il sistema terra secondo la teoria di Gaia è un superorganismo dove ogni elemento concorre a creare le prerogative per la vita stessa presente su di esso.

Ogni elemento di un sistema può avere a sua volta piccoli sottosistemi e tutto è interconnesso e influenzato dalle relazioni stesse, come da una rete invisibile, lo spiega bene Fritjof Capra dicendo che la rete è uno schema comune a tutte le forme di vita, e questo è qualcosa che si può osservare anche dal punto di vista formale.

Le attività umane coinvolgono quindi altri elementi e sottoinsiemi della rete e solo recentemente si è iniziato ad applicare la visione sistemica al progetto, come necessario insieme di relazioni.

Talvolta solo alla manifestazione di un problema ci accorgiamo delle relazioni di sistema che ci vedono coinvolti, prendiamo ad esempio il caso della moria delle api, un fenomeno degli ultimi anni ma in continua crescita, tanto da preoccupare diversi studiosi, tra cui Marla Spivak, che nel Ted Talk “Why  bees are disappearing” racconta le concause che hanno portato all’accrescimento del fenomeno e che includono l’attività umana: la standardizzazione richiesta del comparto industriale della produzione massiva di cibo ha trovato nei sistemi di coltivazione intensiva (monocolture) la soluzione ideale, queste coltivazioni però necessitano di diserbanti e pesticidi che stordiscono e debilitano gli insetti e al contempo li affamano creano immense distese di una sola specie coltivata a discapito della biodiversità, negandogli quindi disponibilità di cibo. Vi sono poi problemi tipici della specie, come il parassita della varroa, che trovando questi animali già così debilitati da questi due fattori, spesso ha la meglio sull’insetto stesso. Ma data l’importanza delle relazioni nei sistemi, non possiamo pensare cha la morte delle api non sia un problema per noi, inevitabilmente ne subiremo una ripercussione: molte delle coltivazioni di cui apprezziamo i frutti necessitano infatti di impollinazione da parte degli insetti (le api in particolare sono state selezionate dalle piante come migliori impollinatori), quindi l’attenta analisi di questo sistema ci mostra come per produrre cibo rischiamo di privarci di parte del cibo stesso, questo per non aver considerato importante un elemento del nostro sistema e la relazione che lo lega a noi.

Anche il design necessita di un approccio sistemico: spesso la visione del designer non è così omnicomprensiva, perché focalizzata su alcuni aspetti specifici della produzione o dell’impatto sul pubblico, ma i principali impatti ambientali di un prodotto vengono decisi nella fase di concept dai designer e l’analisi del ciclo di vita (di cui si è parlato nei precedenti articoli) può essere affiancato ad un approccio sistemico al progetto ed è un valido aiuto per comprendere gli input e gli autput del sistema produttivo in ogni sua fase.

Il pensiero sistemico applicato al progetto porta quindi a scoprire delle concause a volte inaspettate, ma può anche aiutare ad ottimizzare la produzione stessa, come nel caso della startup Funghi Espresso, che applica una della linee guida del design sistemico (vedere lo scarto come una risorsa) coltivando funghi a partire dai fondi di caffè esausti. Se pensiamo che dopo il petrolio, il caffè è il prodotto più commercializzato al mondo e che solo un grammo su 500 passa all’interno del nostro corpo, il resto è scarto, capiamo come il processo classico della produzione di caffè a livello sistemico non funzioni, in quanto troppo dispendioso in termini di energia e scarti. L’idea di utilizzare i fondi nella coltivazione di funghi apre invece nuove possibilità per questo materiale, che possono poi ancora proseguire nella vermicoltura con i substrati esausti della produzione di funghi e ritornare come fertilizzante naturale della terra a chiudere il cerchio produttivo e naturale.

Il vero obbiettivo del design deve tendere al concetto di rifiuti zero” ci ricorda Paul Connet, ed è così che i sistemi lavorano in natura: il concetto di scarto non esiste, perché tutto è una risorsa destinata ad una nuova produzione.

Questo articolo è stato il mio contributo all’approfondimento sul Design sistemico curato da Nuup per il quinto numero dell’editoriale Methodo.


Riferimenti bibliografici:

> Luigi Bistagnino, Design Sistemico. Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale, 2ª ed. Bra (Cn), Slow Food Editore, 2011.

> Fritjof Capra, La scienza della vita. Le connessioni nascoste fra la natura e gli esseri viventi, Milano, Rizzoli, 2004.

> Paul Connett, Rifiuti Zero, una rivoluzione in corso, Dissensi, 2012

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